andrea viliani


Paolo Bini, da Left Behind a Looking Around and Beyond.

Percorriamo i saloni settecenteschi al primo piano della Reggia di Caserta, assecondando il progetto vanvitelliano, in cui nessun dettaglio è casuale ma risponde a una regia architettonico-cerimoniale composta da rituali protocollari, da una stringente performatività gestuale e posturale, da una scansione ritmica di sale, funzioni, regole, ruoli e, persino, apparati iconografici e relativi immaginari deputati.

Queste stanze del potere e della sua implacabile retorica narrativa comprendono persino delle retrostanze, ambienti meno monumentali per quanto anch’essi di parata e, quindi, doviziosamente quanto meticolosamente decorati, in cui il flusso di questa gigantesca e magnifica messa in scena del potere può scorrere più liberamente, senza interferire con la scena principale: background e foreground, sfondo e primo piano….

Nelle coordinate spaziali e temporali di questa danza statica fra protagonisti, comprimari e comparse, nello spazio-tempo interstiziale fra stanze e retrostanze – interstizio autorevole ma liminare, di rappresentanza ma anche di messa a punto, riflessione, confronto… una specie di “workshop regale” – si colloca nel 1992 una straordinaria intuizione intellettuale, che diverrà negli anni a seguire vera e propria istanza metodologica per tutta l’arte contemporanea. Ovvero l’individuazione delle retrostanze settecentesche quale area per la presentazione dei settantadue capolavori della collezione TerraeMotus.

Ideata, o per meglio dire evocata e catalizzata, da Lucio Amelio quale reazione alle drammatiche distruzioni conseguenti al terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980, questa collezione divenne, nel corso degli anni Ottanta e fino alla prematura scomparsa nel 1994 del gallerista e mecenate napoletano, una magnifica provocazione, molto più che una magnifica collezione. Provocazione storica ed estetica: se il terremoto aveva distrutto il patrimonio e l’identità culturale trasmessi dal passato, occorreva che il presente producesse nuovo patrimonio e rinnovata identità. Provocazione morale e politica: di fronte alla distruzione occorreva un’assunzione di responsabilità, conferendo agli artisti il compito di rianimare un’intera comunità, di riconnetterla al suo impegno come al suo destino, alle sue azioni come alle sue prospettive. Provocazione istituzionale: dove non c’erano (ancora) musei d’arte contemporanea… lo sarebbero divenuti i musei d’arte antica, i palazzi regali e, spariti re e regine, corti e cortigiani, ogni donna e ogni uomo sarebbe ora potuto entrare nelle sale del potere per rispecchiarsi nelle immagini, nelle storie, nei valori del suo tempo e della sua cultura.

La mostra di Paolo Bini in quattro di queste sale-concetto, dal titolo Left Behind, è la prima ospitata in questo interstizio provocatorio, recentemente liberato dalla collezione TerraeMotus: lasciata libera, lasciata indietro (left behind) rispetto allo spazio del museo (in cui ha trovato nuova collocazione) e al tempo (consegnato alla dimensione della memoria), ma, inevitabilmente quanto responsabilmente, ancora provocazione presente quale palinsesto storico ed estetico, sinopia morale e politica, cianografia istituzionale da cui la mostra stessa di Bini prende avvio.

Assecondando questa specificità, come già in altri suoi progetti precedenti (Absence Color in Suspense, 2010, Museo Palazzo Bianco, Genova; Un proyecto especìfico, Museo San Francisco de Asìs, La Habana, 2010; Approdo, 2014, Palazzo Mezzacapo, Maiori), Bini agisce in queste quattro sale secondo una logica allestitiva site-specific, in cui ogni sala viene reinterpretata dall’intervento dell’artista ridecorando i parati murali, riposizionando i punti di vista e gli assi di percezione, ridisegnando i limiti predeterminati, articolando gli ambienti, sia al loro interno che fra loro.

Nella prima retrostanza sono allestiti, perimetrando lo spazio fino a rinserrarlo nei confini percettivi della pittura più che dell’architettura, tre dipinti di grandi dimensioni in cui sono recuperati i resti di strisce colorate provenienti da altri interventi. Nella seconda retrostanza è distribuita, cadenzano gli intervalli fra vuoti e pieni, bilanciando fra loro alto e basso, pavimento e soffitto, e quasi ottundendo morbidamente gli angoli perimetrali, una vera e propria quadreria di opere monocrome in acrilico su nastro di carta su tela, memoria astratta e traslucida delle quadrerie borboniche. La terza e la quarta retrostanza sono riplasmate da due opere di dimensioni e impostazione ambientale: un wall painting posto in dialogo con gli affreschi della volta e Paradise Box, uno specchio pittorico, ossimoro visivo che si compenetra con la ridotta, soffusa volumetria della sala, e con lo sguardo dell’osservatore che la perlustra, nell’atto di tornare indietro sui suoi passi e percorrere le sale a ritroso.

Left Behind si trasforma quindi, passo dopo passo, istante su istante, opera per opera, da consapevole reazione, ed omaggio, nell’altrettanto consapevole ricerca di un Looking Around and Beyond.