alessandra troncone


Frammentare(e deframmentare)il paesaggio

Una volta era il paesaggio. Un genere autonomo, in grado di aprire una finestra sul mondo, riproducendone le fattezze in maniera organica e uniforme. In Paesaggio deframmentato Paolo Bini reinterpreta questo classico della pratica pittorica facendolo risuonare al ritmo contemporaneo: non costruisce ma decostruisce, simulando il passaggio dell’immagine all’interno di un ipotetico scanner che la scompone e poi ricompone. Una deframmentazione (mutuando il termine dal linguaggio informatico) dell’informazione iniziale che risponde alla riorganizzazione in una nuova forma degli elementi della memoria. In questo processo il paesaggio perde la sua unità e si trasforma in una giustapposizione di frammenti, dove risuonano le vibrazioni cromatiche connesse al sentire e non al vedere, con i ricordi che si accumulano stratificandosi. Alla totalità si sostituisce l’entità singola della striscia, linea e colore insieme. Formato più volte rivisitato dagli artisti contemporanei, in particolare in ambito minimalista e concettuale per la sua natura standardizzata e standardizzabile, la striscia così come utilizzata da Bini perde il suo carattere di prodotto anonimamente industriale e diviene un supporto in grado di guadagnare una propria identità, stilistica, cromatica e formale. Non c’è - il più delle volte - la campitura piena a renderla “rassicurante” ma un risultato che spesso privilegia squilli improvvisi, discontinuità e persino ruvidezza, pur nell’equilibrio formale complessivo. La striscia diviene un nastro vergine impresso con le voci della realtà, materia e colore. Tuttavia, la limpidezza iniziale del suono è scalzata da una sorta di scratching, l’effetto graffio che i dj ricercano operando manualmente sul vinile. La gestualità, seppur più controllata nelle opere recenti, interviene ad alterare un ordine precostituito, a inceppare la fluidità della comunicazione. Il procedimento pittorico proposto da Bini appare come la conseguenza di un modo di guardare alla realtà che tiene conto della frenesia, incostanza e insicurezza che caratterizzano la nostra quotidianità, ma anche delle parentesi emozionali che in tale complessità si nascondono. Un paesaggio urbano e caotico che può trasformarsi in un momento di pausa, uno schermo silenzioso sul quale registrare i movimenti di un ipotetico segnale. Operando un continuo slittamento di medium, dal caldo al freddo e viceversa, l’artista sceglie infatti la pittura per suggerire altri strumenti e linguaggi dell’espressione visiva, dal plotter al video, emulando manualmente il pixellamento dell’immagine digitale. Se nell’opera di Bini il paesaggio ha perso le sue forme e la sua riconoscibilità, non ha perso la sua capacità di funzionare come affaccio sulla realtà: disconnesso, disorientante, (de)frammentato, è per questo ancor più fedele al cosmo contemporaneo.