Assenza di colore, in sospensione
Museo Palazzo Bianco, Genova


A cura di Massimo Bignardi

Lo spostamento dalla pittura, dall'idea di superficie che essa evoca a tangibile affermazione della materia pronta a rinnovare la gamma dei valori plastici, si è fatto pressante nell'esperienza di Paolo Bini. Uno scatto in avanti per andare oltre l'effetto tattile della pittura che, fino a qualche tempo fa, il giovane artista ha esibito negli spessori concessi da carte, da grumi di pigmento, da materie incastrate nei piani di colore. Il tentativo non è dare spessore di concreta materia all'immagine, quanto di tessere una relazione tra lo spazio e la percezione fisica che si ha di esso, così come si evince dall'opera qui proposta, immaginata come un'installazione di più tele, autonome tra loro ma che concorrono allo sviluppo di un luogo seguendo l'articolazione dei piani – verticali ed orizzontali – dell'architettura di Palazzo Bianco.

La sua è una scelta che lo porta a staccarsi dal cosmo d'immagini nel quale vive l'uomo della società contemporanea, fatto essenzialmente di materia trasparente, di figure che appaiono e scivolano sui monitor, sui piccoli schermi domestici, rettangoli pronti ad isolare o celebrare un tempo infinitesimo che muore davanti ai mostri occhi. È in questo spazio ove, pur troppo, immergiamo i gesti, modelliamo con lo sguardo i perimetri e i piani, vale a dire misuriamo le prospettive tracciate dai nostri movimenti.

Per Bini, invece, la trasparenza gioca un ruolo diverso, perché legata ad un registro percettivo che rinunzia senza esitazione all'interferenza di altri media: sembra, anzi, voler accogliere le avvertenze di Wittgenstein, secondo il quale "la trasparenza e la riflessione esistono soltanto nella dimensione della profondità di un'immagine visiva". Paolo insiste sulla profondità, sul desiderio di richiamare l'essenza di uno spazio: è quanto accade nello spessore della materia, ora cristallizzata dalle velature di resine acriliche, ora sottoposta alla geometria del quadrilatero, del chiostro interno di Palazzo Bianco, uno spazio rimarcato sui lati da colonne che scandiscono i tempi del chiaro scuro, in pratica tra interno ed esterno.

Il richiamo a cifre preesistenti del suo giovane dettato pittorico, penso alla gestualità che sostiene larghi e sommari segni sospesi in superficie, è da leggersi quale necessità di non sottostare alla seduzione di quest'ultima; anzi di dissestare la sua uniformità strutturale, non attraverso la craquellure o altre memorie dell'Informale italiano, quando forzando sull'effetto di luce che accentua la trasparenza, mettendo in gioco il valore della luce, la sua funzione di medium che svela la materia, rendendola trasparente, filtrandola dall'opacità della realtà per farla immagine visiva. Bini lavora, dunque, sul binomio luce-superficie servendosi di una strategia per fissare – avrebbe detto Brodskij a proposito della pratica usata dai poeti – il suo stato d'animo "in un determinato momento": gli squarci circolari di un infinito cosmo, impenetrabile e luminoso, gli suggeriscono una rinnovata visione della realtà e al tempo stesso gli ricordano la sua stessa situazione nel mondo, misurando "il rapporto – così conclude Brodskij – tra il suo corpo e lo spazio". Rapporto che implica un tempo che per l'artista resta ancora l'intervallo lungo tra la notte e la luce allo zenit, tradotto ora nel passaggio astrale tra due tempi della luminosità celeste.

Night light, è la fascia di opere dedicate alla notte, al tempo lungo dell'attesa che l'artista ha misurato dall'equinozio di primavera (qualche giorno prima del 21 di marzo, in base alle precessioni degli equinozi). Nero luminoso, non scheggiato dalle stelle, tanto meno dai riflessi della pittura; nero del silenzio e dell'attesa.
Land light/Green light. La parte mediana dell'installazione pittorica; terra luce che richiama la natura, il suo verde sentimento della rigenerazione, della fresca atmosfera che alita sulla nostra coscienza. Ma anche terre di ruggine, di ferro, di una forza ancestrale e primigenia.
White light, è la percezione più estrema, posta lontano dalla soglia dalla quale il nostro sguardo muove. Luce intensa, bianca e prolungata, propria del solstizio d'estate (21 giugno), quando nell'emisfero Nord la durata del giorno è massima.

Paolo ha scelto nella pittura un luogo dell'incontro tra la notte e il giorno; ha collocato, nella mezzeria dell'arco temporale che corre dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate, un corpo del simbolico.