Opere, idee, progetti, persone dalla collezione del Madre
Castello Macchiaroli, Teggiano, a cura di Andrea Viliani e Silvia Salvati


Parco dell'Arte contemporanea nel Vallo di Diano

L'Assessorato allo Sviluppo e Promozione del Turismo della Regione Campania e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee/museo Madre presentano il progetto espositivo Parco dell'Arte contemporanea nel Vallo di Diano.
Opere, idee, progetti, persone dalla collezione del Madre, realizzato in occasione della Summer Universiade Napoli 2019 e Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
Luogo d'incontro tra culture ed ecosistemi differenti, spesso definito "paesaggio culturale", il Cilento interno e il Vallo di Diano furono teatro della cosiddetta Congiura dei Baroni (1485 e 86).
Un episodio fondativo dell'identità nazionale e sovranazionale dell'Europa moderna a partire dal quale questa mostra, insieme al progetto La Congiura dei Baroni, ripercorre un tracciato storico che congiunge, in un nuovo itinerario culturale e turistico, le città e le comunità di Napoli, del Vallo di Diano e di Matera/Miglionico.
In particolare, la mostra Opere, idee, progetti, persone dalla collezione del Madre, a cura di Andrea Viliani e Silvia Salvati (10.07.19- 15.02.20), mira a promuovere nuovi itinerari d'arte contemporanea sul territorio campano, articolandosi in alcuni siti storici e naturalistici del Vallo di Diano: il Castello dei Principi Sanseverino (ora Macchiaroli), il Chiostro del Convento della Santissima Pietà a Teggiano e le Grotte di Pertosa-Auletta, affiancandosi così ai precedenti progetti presentati presso la Certosa di San Lorenzo a Padula, da cui il Parco dell'arte contemporanea trae origine: la rassegna Le opere e i giorni (2002-2004), a cura di Achille Bonito Oliva, e la performance VB82 dell'artista Vanessa Beecroft, realizzata nel 2017 nell'ambito dell'iniziativa Il Cammino delle Certose.
Inoltre, nello spazio pubblico individuato tra via Sant'Agostino e via Corpo di Cristo di Teggiano a partire da settembre sarà realizzato il progetto in-progress e permanente Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto nel Parco dell'arte contemporanea nel Vallo di Diano, prodotto dalla Fondazione Donnaregina e dal Madre, con il coordinamento di TANA Terranova Arte Natura, Arpaise (Marco Papa e Tiziana De Tora, Ambasciatori Rebirth Terzo Paradiso), Associazione culturale ArtStudio'93, Napoli, e in collaborazione con BACAS-Borghi Antichi Cultura Arti e Scienze,Vallo di Diano-New York.

Il percorso espositivo del progetto è una narrazione visiva dedicata a quell'Europa e a quel Mediterraneo che definiscono, fra passato presente e futuro, fra natura e cultura, l'essenza stessa del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e si propone di restituire un ritratto simbolico del territorio: l'arcaicità dei suoi insediamenti, l'incontro tra le etnie che nei secoli vi hanno vissuto e lo hanno conformato, le prospettive affidate alla radicalità delle sperimentazioni artistiche e intellettuali contemporanee.
Al Castello dei Principi Sanseverino (ora Macchiaroli) di Teggiano (SA), la mostra, che assume a suo incipit la dimensione critica con cui dare rappresentazione alla cronaca contemporanea, procede per le pagine-stanze di un racconto che delinea sia il deposito memoriale della storia che i contorni impalpabili della contemporaneità, fino ad assurgere a una provvisoria sintesi fra astrazione e figurazione, implicazione e contemplazione.
La mostra si apre al terzo piano con l'opera di Bianco Valente – pseudonimo di Giovanna Bianco (Latronico, 1962) e Pino Valente (Napoli, 1967) – dal titolo Terra di me (2018): un'immagine fotografica in cui il profilo di un'antica mappa di navigazione del Mediterraneo diviene un tatuaggio impresso sul palmo della mano degli artisti stessi.
Le linee del palmo sono intersecate con i tracciati delle rotte di navigazione che raccontano un territorio multiculturale, costituito dalla e sulla mescolanza: la singolarità individuale è associata all'esperienza del viaggio, che definisce la storia di una persona come quella di una comunità, di un'epoca storica come di un luogo geografico.
Di confini e del loro dissolvimento racconta anche l'opera di Monica Biancardi (Napoli, 1972) che presenta il polittico fotografico Finis Terrae: la rappresentazione di una geografia reale ma "omessa", delineata a partire dalla ricostruzione delle mappe dei paesi confinanti con il Kurdistan, nazione al contempo reale e negata.
Esaminato da una pluralità di punti di vista, quel luogo diviene metafora dell'eliminazione del concetto di confine geografico definito, stimolando la percezione dell'abitare come processo aperto a influenze e stimoli sempre da negoziare.
Il dissolvimento della soglia è ugualmente fondante nella ricerca di Mimmo Jodice (Napoli, 1934) che sperimenta dai primi anni ‘60 le potenzialità del mezzo fotografico imponendosi a livello internazionale come uno degli autori in grado di rappresentare le radici culturali del Mediterraneo o i contorni incerti delle megalopoli contemporanee.
Le due opere della serie Attesa sono immagini quasi astratte, dallo spazio-tempo indefinito, situate nella dimensione dell'attesa di un futuro che mai si compie, in una trasfigurazione infinita e circolare del mondo e della Storia.
Anche Ivano Troisi (Salerno, 1984), utilizzando tecniche artistiche differenti, dal calco al frottage, o materie che vanno dal cotone alla carta igroscopica, accoglie nelle sue opere tracce di esistenza, proponendo un attraversamento del paesaggio in cui natura e cultura, fattualità e memoria possano incontrarsi.
L'artista ha realizzato un'opera inedita per questa mostra, Impressione II (2019), avvalendosi della capacità imitativa del gesso nel riprodurre le suggestioni dell'ambiente naturale.
Una diversa rappresentazione della natura, in cui si sedimenta la narrazione della storia, si ritrova in Nino Longobardi (Napoli, 1953), nella cui ricerca pittorica la figura umana diventa la forma prevalente, definita da un segno fortemente espressivo, quasi alla ricerca degli archetipi.
L'opera Terrae Motus (1981) fu realizzata a seguito del terremoto che sconvolse la Campania il 23 novembre del 1980: in essa l'artista si confronta con la potenza distruttrice della natura da cui fa riemergere l'esperienza catartica dell'arte, rappresentata dai profili di quattro figure umane fantasmagoriche, stanti su altrettanti teschi.
Longobardi tenta di contrastare la dimensione tragica attraverso la rarefazione del segno e del simbolo, in una rappresentazione che è pittorica e scultorea allo stesso tempo.
Artista la cui pratica si origina dal tentativo di restituire la complessità del cosmo, Jimmie Durham (Arkansas, 1940) decostruisce i concetti cardine della cultura occidentale per smantellare stereotipi e costrutti imposti dalle culture dominanti e lasciare all'essenza stessa delle componenti delle sue opere la possibilità di innescare una riflessione sugli statuti dell'arte e della realtà.
In Presepio (2016) l'artista rievoca una delle più antiche tradizioni artigianali campane, il presepe, e gli conferisce una spiritualità arcaica e intima ridando dignità a oggetti abbandonati e ai materiali più umili: un frammento di radice d'ulivo, albero autoctono del territorio cilentano, diviene il cuore pulsante della scena, il fulcro attorno al quale tutti i personaggi canonici si raggruppano nella celebrazione del più naturale degli eventi umani, la nascita, che nell'abbagliante semplicità del suo accadimento riesce a cambiare le sorti del mondo più di qualsiasi altro evento rivoluzionario.
L'iconografia fantastica, associata all'espressione di una dimensione primordiale e archetipica dell'arte, innerva la ricerca di Mimmo Paladino (Paduli, 1948), esponente delle ricerche afferenti alla Transavanguardia e artista fra i più autorevoli della generazione emersa alla fine degli anni '70.
Senza titolo (1995) raffigura un intreccio di mani sanguinanti o segnate da stigmate su un fondo bianco graffito in nero.
Nel rimando ad un linguaggio iconografico e gestuale universale, ad una prossemica radicata nella cultura popolare e alla significazione simbolica degli ex-voto, l'opera restituisce il senso di una ritualità antica, amplificata dalla presenza di due dischi in fogli d'oro memori delle icone bizantine.
In un salto logico e spazio-temporale che attraversa secoli e continenti, Luciano Romano (Napoli, 1958) ci immerge in The Big Apple (2010), nell'impasto fra reale e virtuale proprio dell'immagine contemporanea.
Nella rappresentazione in semi-trasparenza dei corpi dei clienti accalcati all'ingresso dell'Apple Store di New York in attesa di acquistare il nuovo iPad appena lanciato sul mercato, Romano dà rappresentazione a una mutazione sociologica, osservata come in un vetrino da microscopio, il cui impatto (iper-connessione pervasiva e iper-comunicazione quotidiana) sarebbe stato comprensibile solo a posteriori.
La struttura plastica e quasi tridimensionale dell'immagine fotografica articola una messa in scena la cui composizione è ascrivibile agli studi di architettura dell'artista e all'esperienza dell'uso simbolico della luce teatrale, mentre la dimensione dell'attraversamento rende la superficie fotografica quasi impalpabile, corrispettivo analogico del desiderio del nuovo pubblico digitale.
Il trittico Unknown Destination (2013) di Pierpaolo Lista (Salerno, 1977) reca un'immagine al contempo figurativa e astratta.
All'evocazione di un treno in transito verso una destinazione sconosciuta, e quindi al ricordo anche solo accennato di viaggi di deportazione e migrazione, l'opera sovrappone la leggerezza di una stesura pittorica non costretta dal supporto materiale, ma scavata nel "nulla" del vetro trasparente, metafora levigata e riflettente della plasticità e al contempo della fallacia della memoria, della compenetrazione polisemica fra individuo e collettivo.
L'opera Via Settembrini (2012-14) di Marisa Albanese (Napoli, 1947) ripropone la complessità culturale e ambientale del territorio urbano su cui sorge e in cui opera, a Napoli, il museo Madre.
Nelle sue opere l'artista si concentra sull'impermanenza, sulla mappatura di viaggi interiori innescati dalla fisicità del disegno, o in questo caso dal semplice accumulo di fogli di carta.
Nel richiamare le molteplici stratificazioni urbanistiche e culturali di Napoli, l'installazione di Albanese riproduce la tridimensionalità degli edifici e il gioco di pieni e vuoti determinato dalla prossimità fra palazzi e vicoli, resi dalla sovrapposizione di moli di fogli di carta.
Carta bianca meticolosamente intagliata ed esposta in una teca in vetro per riprodurre i palazzi e le strade, e fogli tratti dai cataloghi del Madre per riprodurre il museo.
Quest'ultimo è poi ripreso in un video in cui i fogli del modello si disperdono, analogia dello spargimento dell'istituzione nel corpo vivo e molteplice della città.

Il tema dell'identità personale e collettiva – oscillante fra unità e molteplicità, interazioni e divergenze, opposizioni e corrispondenze – è il fulcro intorno a cui ruota la ricerca di Gloria Pastore (Napoli, 1949), che si configura come inesausta rappresentazione di queste ambivalenze.
Osservabile ad una distanza più o meno ravvicinata, il suo monumentale Mandala: dove guardo (2005), simbolo nella tradizione religiosa buddista e induista del cosmo e tradizionalmente composto da intrecci su tessuto o affrescato a parete o steso con polveri multicolori sul terreno.
L'opera, composta in questo caso da minerali vulcanici su tavola, porta a una sintesi formale e intellettuale richiami differenti, nel tentativo di rivelare una realtà a più dimensioni possibili.
Una tendenza geometrizzante, già ravvisabile nelle prime opere a soggetto paesaggistico degli anni '50, è alla base della pratica di Gianni De Tora (Caserta, 1941 – Napoli, 2007), nella sua investigazione dei concetti di materiacolore- luce in cui progressivamente si afferma il rigore di un'architettura spaziale basata sulla scansione dello spazio-tempo pittorico.
Dall'inizio degli anni '70 – rispetto ai precedenti gesti di ascendenza informale o icone di matrice pop – si succedono variazioni e possibilità combinatorie di figure geometriche elementari (quali cerchi, triangoli e quadrati) dipinti in colori primari stesi in campiture piatte sulla tela.
Nell'opera Le diagonali asimmetriche (1979) l'astrazione formale e cromatica sembra conferire uno schema preciso e oggettivo a fenomeni fluidi, a riflessioni mentali fuggevoli, a risonanze emotive indistinte o, al contrario, sembra rendere soggettivo un linguaggio rigoroso e modulare, di ascendenza concettuale.
Assecondando la sua formazione nell'ambito della scenografia, Paolo Bini (Battipaglia, 1984) tende a situare le sue opere, come se fossero una vera e propria messa in scena, negli ambienti in cui sono realizzate.
Quasi congiungendo l'inizio e la fine della mostra al terzo piano del Casello, l'opera inedita Mediterraneo (2019) è un omaggio alla Val d'Agri a partire dalle suggestioni d'infanzia: l'artista osservava spesso i campi illuminati dal sole e mossi dal vento, pensando all'effetto delle onde del mare: una sovrapposizione che l'opera rappresenta come immaginifica unione tra terra e acqua.

A chiudere il percorso espositivo due opere anch'esse prodotte in occasione della mostra: il dipinto La congiura dei Baroni (2019) di Nicholas Tolosa (Eboli, 1981), esposto nella Sala Stefano Macchiaroli, e l'installazione Migrazioni (2019) di Michele Iodice (Napoli, 1956), sulla Torre della Giammaruca.
Suggestioni legate ad un passato ancora presente, a quel crocevia di culture e quella complessità ambientale e storica che il territorio del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano rappresenta.
Parallelamente, il secondo piano ospita l'installazione di Pietro Costa (Sant'Arsenio, 1960) intitolata Alla luce di tutto, progetto personale che comprende due progetti connessi fra di loro, che l'artista ha sviluppato nel corso di quasi due decenni: donor project ("progetto donatori") e light structures ("strutture di luce").
donor project è stato avviato nel 2000 come un'estensione del progetto bloodworks ("lavori in sangue") avviato nel 1990.
Mentre il progetto bloodworks prevedeva l'utilizzo del sangue dell'artista come mezzo per fare arte e mettere in discussione il concetto dell'autoritratto e dell'identità dell'artista, donor project utilizza il sangue di soggetti donatori e si occupa del genere della ritrattistica e dell'identità collettiva.
Le opere relative eseguite nel 2018 sono una registrazione biologica precisa di ogni soggetto e contengono geneticamente una "vera" o "esatta" copia di lui / lei / loro al momento della donazione del sangue al progetto, oltre che delle condizioni ambientali del tempo e spazio in cui ogni opera è stata realizzata.
All'interno delle sacche d'aria sparse in veli di mylar che contengono il sangue sono custoditi campioni delle particelle presenti nell'aria in un determinato luogo al momento della realizzazione dei veli, simile all'aria intrappolata negli antichi ghiacciai che custodisce i segreti ambientali dell'era in cui il ghiacciaio si formò.
In questo senso donor project estende la tradizione classica di ritrattistica, della rappresentazione e dell'identità sociale nel nuovo millennio, l'era della manipolazione del DNA.
light structures è invece un'investigazione di linea, spazio, luce e colore: questi quattro elementi collegano la tradizione del creare immagini (pittura e disegno) e oggetti (scultura) che risale ai primi segni tracciati nella segreta oscurità delle caverne ai primordi della nostra civiltà umana, più di 50000 anni fa.
Il titolo light structures sottolinea che è la luce a conferire a ogni oggetto una forma visiva, e che questa è anche un mezzo per definire e misurare lo spazio come la luce delle stelle che vediamo di notte, una misura della distanza e del tempo e un'illustrazione dello spazio fisico.


Il Chiostro del Convento della SS.
Pietà di Teggiano (SA) ospita le due panchine marmoree (Senza titolo, 2009) di Domenico Bianchi (Anagni, 1955).
Nella sua ricerca l'artista fa affiorare una possibile armonia degli elementi dall'accostamento delle linee, forme e volumi che emergono dai materiali scultorei.
Le due monumentali panchine, concepite originariamente per armonizzarsi con le sontuose linee barocche del chiostro seicentesco della Chiesa di Donnaregina Vecchia a Napoli, sono riallestite nel Chiostro del Convento della SS.
Pietà di Teggiano, complesso di origine trecentesca le cui fattezze attuali risalgono al restauro della fine del XV secolo ad opera di Roberto Sanseverino, principe di Salerno e signore di Teggiano, che dopo l'ampliamento lo donò ai Frati Minori.
L'apparizione delle due panchine suggerisce una nuova, possibile definizione degli spazi del convento e diventano un invito alla sosta e alla riflessione, ad abitare l'ambiente circostante in senso evocativo e sensibile.
Manualità ed espressività dei materiali, intelligenza compositiva e riduzione geometrica diventano, nella poetica rarefatta dell'artista, gli strumenti attraverso i quali ragionare e operare, in bilico fra idea e fisicità, spazio e tempo.
Ugo Marano (Capriglia, 1943) – insignito della Laurea Honoris Causa dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Salerno nel 2003 per la sua ricerca di nuovi linguaggi espressivi – utilizza la ceramica in opere che si interrogano sul rapporto dell'individuo con l'ambiente circostante e gli spazi e tempi dell'esistenza e, in termini di rappresentazione sociopolitica, sui rapporti tra uomo, mondo e natura e sull'interazione con l'oggetto d'arte.
L'opera Vaso (2004) – un vaso in maiolica completamente realizzato a mano – riprende una tecnica ricorrente nei chiostri monastici dell'epoca, agendo come evocazione speculare all'opera di Bianchi nel contesto del Chiostro del Convento della SS.
Pietà.


Le Grotte di Pertosa-Auletta ospitano invece l'opera di Eugenio Giliberti (Napoli, 1954) realizzata al Madre nel corso dei workshop del progetto #MadreTerra, ideato e promosso dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee in collaborazione con TANA Terranova Arte Natura e ArtStudio'93, nell'ambito del programma didattico dedicato all'integrazione sociale Io sono Felice!.
Nel 2006 Giliberti si trasferisce a Rotondi, nella Valle Caudina, dove fonda "Selve del Balzo", una piccola comunità produttiva che lavora il legname prodotto dai boschi del circondario e all'occorrenza lo coadiuva nella produzione delle sue opere.
Qui prende vita una nuova produzione di opere direttamente ispirate al rapporto con il territorio circostante, in particolare con l'antico meleto nel quale è ubicato il suo studio-masseria.
Il laboratorio tenuto dall'artista al Madre nel 2019 ha coinvolto ragazzi tra i 14 e i 18 anni nella creazione collettiva di un'opera in cui fossero utilizzati attrezzi abitualmente destinati al lavoro della terra.
Penelope (2019) è un'installazione ambientale che incorpora idealmente i processi mentali ed emotivi, i pensieri e le storie soggettive di chi ha contribuito alla sua creazione, conservando l'eco e l'intersezione di vicende personali e collettive, per restituire l'esperienza della sua stessa costituzione ai futuri visitatori.
Il progetto Io sono Felice! ha trasformato il museo Madre in una piattaforma pubblica di condivisione e si propone di radicare quello stesso significato nei luoghi del contemporaneo sul territorio cilentano.

Via Sant'Agostino e Via Corpo di Cristo ospitano invece il progetto in-progress e permanente Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, prodotto dalla Fondazione Donnaregina e dal Madre, coordinato e realizzato da TANA Terranova Arte Natura, Arpaise (Marco Papa e Tiziana De Tora, Ambasciatori Rebirth Terzo Paradiso), Associazione culturale ArtStudio'93, Napoli, e in collaborazione con BACAS-Borghi Antichi Cultura Arti e Scienze, Vallo di Diano-New York.
Il progetto, già avviato ad Arpaise (Benevento), presso la sede di TANA, residenza d'arte ambientale la cui attività è dedicata all'accoglienza, alle iniziative culturali, alle collaborazioni con artisti, allo sviluppo dell'economia circolare, delle energie sostenibili e all'agricoltura sinergica.
Il Terzo Paradiso ideato da Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) rappresenta il superamento e la fusione sia del "primo paradiso" che del cosiddetto "secondo paradiso".
Se il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura, il secondo è il paradiso artificiale sviluppato dall'intelligenza umana con la scienza e la tecnologia, che ingenerano, parallelamente a effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale.
Questo "terzo stadio" assume quale simbolo la riconfigurazione del segno matematico dell'infinito, composto da tre cerchi consecutivi in cui i due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, come natura e artificio, mentre quello centrale è la loro compenetrazione generativa di una nuova umanità, di un rinnovato rapporto di equilibrio fra gli esseri umani e l'ambiente.
Il Terzo Paradiso è dunque la terza fase dell'umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l'artificio e la natura.
Il Rebirth-Day è la giornata di celebrazione del Terzo Paradiso e sottolinea l'impegno di ciascun membro di una comunità a collaborare ad una responsabile trasformazione della società nel mondo.
A partire dal mese di settembre, sarà realizzato il progetto che culminerà nella realizzazione partecipata di un'installazione permanente in forma di aiuola con erbe officinali e pietra locale, che sarà ultimata in occasione del Rebirth-Day il 21 dicembre 2019.


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